Sta diventando difficile leggere il programma di qualsiasi fiera o convegno, anche della sagra della lumaca, senza la parola “metaverso” nel titolo di qualche intervento. Fa eccezione il World Economic Forum di Davos, che si è appena concluso: nella lista degli interventi non ci sono le parole metaverso o web3. Ma non se ne sono dimenticati. Anzi tutto il contrario. Un annuncio importante di questa edizione è stata la creazione di una nuova iniziativa: “Defining and Building the Metaverse”. Questa iniziativa “si concentrerà su due aree chiave, la governance del metaverso e la creazione di valore economico e sociale, ed esplorerà temi attraverso quadri normativi, scelte tecnologiche e opportunità economiche”. Lo scopo dell’iniziativa è “riunire le principali parti interessate per costruire un metaverso economicamente sostenibile, interoperabile, sicuro e inclusivo”. Ok, tutto bene e abbastanza accettabile. Ma se si dà uno sguardo alla landing page dedicata all’iniziativa si leggono titoli come: “Come costruire un metaverso economicamente valido, inclusivo e sicuro”; “Come affrontare la sicurezza digitale nel metaverso”; “Nuova iniziativa per costruire un metaverso equo, interoperabile e sicuro”.
La frequente ripetizione della parola “sicuro” sembra dare una chiara indicazione: “Ok ragazzi, il Metaverso è una cosa seria dove faremo soldi seri, quindi dobbiamo cacciare tutti i “pirati” e questi ideologi hippy che creano anarchia e instabilità”. Questo non accadrà senza un prezzo. Una delle promesse di Web3, portata da quegli hippy, è di non dare più i propri dati al prossimo Facebook – o all’attuale Meta. Dobbiamo stare attenti a non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Vale a dire, in nome della sicurezza e dell’interoperabilità, perdere quei principi di decentralizzazione che restituiscono il controllo dei propri dati agli utenti finali. La sfida è appena iniziata.